Gli effetti dello stress da freddo nei bovini sono, tuttora, poco studiati, perché si ritiene erroneamente che questi animali non ne soffrano grazie all’elevata produzione di calore metabolico che li rende più resistenti alle basse temperature.
Per le vacche da latte con produzione media giornaliera di 30 kg la temperatura critica inferiore (TLC), cioè la temperatura ambiente alla quale l’animale inizia a percepire il freddo e il suo organismo aumenta la quantità di calore metabolico prodotto per mantenere costante la temperatura corporea, è compresa tra ‒16 e ‒37 °C in presenza di clima asciutto; se il livello produttivo raggiunge i 36 kg/giorno questo valore scende a ‒40/‒45 °C.
Nelle bovine pascolanti sottoposte a stress da freddo il livello ematico di cortisolo si innalza all’inizio del periodo di esposizione, fenomeno accentuato dalla riduzione dei tempi di riposo, e si stabilizza successivamente.
Si registra anche un aumento dell’attività tiroidea a cui segue un incremento della sintesi di tetraiodotironina che agisce innalzando la produzione di calore endogeno e il cui andamento è uguale a quello rilevato per il cortisolo. All’inizio dell’inverno è stata segnalata, addirittura, un’iperglicemia e un significativo aumento di amminoacidi liberi, mentre la concentrazione dei NEFA (acidi grassi non esterificati) è più alta nelle settimane successive allo stress termico.
Maggiore suscettibilità alle malattie
A causa dell’innalzamento del cortisolo ematico, lo stress da freddo rende gli animali più suscettibili alle malattie e diminuisce l’efficacia delle vaccinazioni determinando, per tutto il tempo di esposizione, un calo nella conta dei globuli bianchi (linfociti e granulociti basofili) che risulta più evidente all’inizio del periodo e un’alterazione nella quantità di citochine secrete dai linfociti T.
Anche la riduzione dei tempi di riposo contribuirebbe ad abbassare il numero di globuli bianchi. Oltre tutto il tasso di mortalità, registrato per i bovini al pascolo nei mesi invernali, aumenta all’abbassarsi della temperatura ambientale senza, peraltro, raggiungere i valori rilevati per lo stress da caldo.
Fabbisogni energetici più elevati
Il freddo influisce sia sul comportamento alimentare sia sui fabbisogni nutrizionali dei bovini. Normalmente, al calare della temperatura corrisponde un aumento medio dell’assunzione giornaliera di alimento pari all’8% con un range compreso tra il 5-7% e il 12% della sostanza secca ingerita, perché gli animali, per mantenere una corretta termoregolazione e un’adeguata condizione corporea, necessitano di una quota energetica superiore che può oltrepassare il 24% e, tra novembre e gennaio, può raggiungere anche il 37% in più (vedi tabella).
L’incremento del fabbisogno energetico è maggiore quando il terreno è ricoperto da una spessa coltre di neve; il fabbisogno proteico è, invece, particolarmente elevato per le vacche asciutte, perché devono anche sostenere il maggiore sviluppo fetale che caratterizza l’ultima fase di gestazione.
Tuttavia, l’incremento dei fabbisogni non è totalmente compensato dall’aumento dell’ingestione (peraltro limitata dall’ingombro fisico dell’alimento) perché i bovini sottoposti a stress da freddo prediligono cercare un luogo adatto dove ripararsi.
Inoltre, lo stress termico causa un’accelerazione del metabolismo anche nell’animale a riposo provocando un ulteriore aggravio dei fabbisogni e induce, lungo tutto il tratto gastroenterico, una modificazione della flora batterica che necessita di circa 2 settimane per recuperare il suo stato iniziale. Non solo, la lunghezza del percorso per raggiungere i punti di distribuzione dell’alimento influisce sulla richiesta di nutrienti perché tanto maggiore è la distanza da percorrere tanto maggiore è il dispendio energetico.
Tratto dall’articolo pubblicato su Stalle da Latte n. 6/2021
Quando lo stress da freddo riduce produzione, fertilità e riposo
di M. Olivari
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