L’albicocco occupa la 6ª posizione mondiale per estensione delle superfici coltivate a specie arboree da frutto (escluso tropicali e agrumi) ed è tra le poche a evidenziare una dinamica di crescita che, seppur modesta, si registra anche a livello dell’Unione europea. Nel mondo sono circa 560.000 gli ettari investiti, di cui poco più di 73.000 nei Paesi dell’area UE, con questi ultimi che guadagnano circa 1.000 ettari negli ultimi 10 anni.
La creazione di nuovi impianti, ma anche il miglioramento delle rese produttive, hanno determinato un forte accrescimento dell’offerta mondiale che, nel 2017, ha sfiorato 4,8 milioni di tonnellate, contro 3,3 milioni di tonnellate del 2010. Nel biennio 2018-2019 la produzione si è però ridotta considerevolmente, scendendo attorno a 4 milioni di tonnellate.
Il quadro nazionale
In Italia sono coltivati poco più di 19.000 ha ad albicocco, concentrati per oltre il 70% in 3 regioni: Emilia-Romagna, Campania e Basilicata (grafico 2). La superficie complessiva è rimasta sostanzialmente stabile, negli ultimi anni, ma si è assistito a una forte crescita della coltura in Emilia- Romagna, dove l’albicocco ha sostituito in parte il pesco, la cui presenza è crollata in virtù della perdurante crisi di mercato che interessa questa specie.
Il commercio internazionale
Gli scambi commerciali di albicocche sono piuttosto limitati, in considerazione della ridotta serbevolezza del frutto, e riguardano il 10% circa dell’offerta mondiale. Come per quasi tutte le referenze frutticole il trend è in espansione, ma rimane evidente una forte variabilità dei flussi scambiati in funzione delle oscillazioni produttive.
L’Unione europea accentra una buona parte degli scambi commerciali, pari a 150-200.000 t annue, su un totale mondiale di 350-400.000 t.
Le prospettive per il futuro
La lettura dei dati economici relativi all’albicocco fa emergere un quadro piuttosto interlocutorio. Da coltura di secondo piano fino a pochi anni fa, grazie a un importante rinnovo varietale che ha sostituito vecchie cultivar di scarso successo con nuove varietà molto più apprezzate dai mercati, l’albicocco ha attraversato una significativa fase di rilancio. Al momento attuale delineare un quadro per il futuro dell’albicocco è impresa decisamente ardua. La coltura resta certamente interessante in virtù della positiva fase al consumo che caratterizza questa specie e del vantaggio competitivo del prodotto nazionale, ma le incognite sono certamente rilevanti.
I costi di produzione sono mediamente elevati rispetto ad altre specie frutticole, soprattutto per le forme di impianto più elaborate, e il raggiungimento di un buon risultato economico è vincolato a un’accettabile resa produttiva. I cambiamenti climatici, con la maggiore frequenza di gelate tardive e grandine, rimangono un’incognita importante cui la ricerca e il sostegno pubblico dovranno essere sempre più orientati. Circa il possibile ripetersi di crisi di mercato quando l’offerta ritornerà su livelli normali, invece, le raccomandazioni sono quelle consuete che valgono per l’intero comparto frutticolo nazionale, cioè aggregare e qualificare l’offerta, non trascurando i mercati esteri.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 32/2021
L’albicocco resta competitivo in Italia e all’estero
di A. Palmieri
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