Il susino è una specie arborea che include una famiglia di referenze molto differenti tra loro dal punto di vista commerciale e anche economico: dalle tradizionali susine europee, in buona parte destinate all’industria a quelle cino-giapponesi da consumo fresco, nell’ambito delle quali si distinguono cultivar estive in diretta competizione con le altre specie del periodo e cultivar autunnali, tra le quali il punto di riferimento è Angeleno, in grado di essere conservata per diversi mesi. Vi sono poi tipologie di nicchia, quali le mirabelle, mentre da qualche anno sono stati lanciati sul mercato ibridi interspecifici, fra i quali quelli commercializzati sotto il marchio Metis sono i più noti e diffusi.
Il quadro nazionale
In Italia, il susino è coltivato, secondo i dati Istat, su 12.700 ettari, 2/3 dei quali concentrati in Emilia-Romagna, Campania e Piemonte. Il medesimo rapporto si mantiene anche in termini produttivi, con l’eccezione dell’ultima campagna, i cui dati, ancora provvisori, sono condizionati dalle avversità climatiche che hanno colpito l’Emilia-Romagna riducendo la produzione a meno della metà di un anno ordinario. Tranne che nel 2020, la produzione nazionale si è mantenuta piuttosto stabile negli ultimi anni, attorno a 220.000 tonnellate, ma allungando l’orizzonte temporale anche in Italia si registra una rilevante crescita, valutabile in 30.000 tonnellate nell’arco di un decennio.
In particolare, si è assistito nel tempo a una maggiore diffusione delle cultivar estive, soprattutto precoci o medio-precoci e a buccia rossa, avvenuto tuttavia senza un adeguato supporto commerciale e un’opportuna attenzione alla qualità, tanto da determinare una certa confusione fra le varie tipologie sui banchi di vendita. In parallelo, si è innescata una corsa all’incremento delle rese per Angeleno, tuttora la varietà di riferimento in diversi areali produttivi.
Queste situazioni, unitamente ad una perdurante crisi dei consumi e all’accresciuta disponibilità di altre specie estive, ha determinato una situazione di stabile sovrapproduzione sui mercati, con inevitabili riflessi negativi sui livelli di prezzo.
Prezzi e redditività
I prezzi alla produzione spuntati dalle susine nelle ultime campagne (2014-2019) sono stati molto deludenti: Angeleno in 3 degli ultimi 5 anni non ha superato 0,40 €/Kg per prodotto di prima categoria di qualità medio-buona, con un apice di 0,50 €/Kg solamente nel 2018, ma anche le principali cultivar estive solo in rari casi hanno superato la soglia di 0,50 €/Kg, soprattutto nell’ultimo triennio. Per il gruppo Metis le remunerazioni sono variabili fra le diverse cultivar afferenti, con un range mediamente compreso fra 0,65 e 0,80 €/Kg.
Si evidenzia una situazione di chiara difficoltà per il susino, almeno con riferimento alle varietà tradizionali. Migliore appare la situazione per Metis, che ha di fatto un mercato a sé stante, ma solo a patto di raggiungere gli standard qualitativi previsti, poiché gli alti costi per ettaro determinano un rapido impennamento dei costi nel caso di un’apprezzabile diminuzione della resa commercializzabile.
Ipotesi di rilancio
La crisi della frutticoltura e, in particolare, del comparto peschicolo ha determinato, nel corso del tempo, l’interesse verso diverse specie alternative, fra cui il susino. Tendenzialmente più produttivo e meno dispendioso del pesco, nonché in grado di coprire un ampio periodo di commercializzazione, il susino ha conosciuto una fase di importante sviluppo che ha portato l’offerta ad una considerevole espansione. Tuttavia, ciò è avvenuto nella totale assenza di programmazione, anche a causa del fatto che la specie si è diffusa soprattutto in aziende di piccole dimensioni e non specializzate. È mancata del tutto l’innovazione varietale e la crescita dell’offerta ha riguardato solo cultivar tradizionali, talvolta superate dal punto di vista agronomico e commerciale.
Per tentare il rilancio del comparto susino è inevitabile puntare decisamente sul rinnovo varietale, sul contenimento del numero di varietà in commercio e sulla valorizzazione di quelle ritenute più idonee a soddisfare i gusti del consumatore. Indispensabile appare anche la segmentazione dei canali di vendita fra i diversi livelli qualitativi espressi ed i corrispondenti prezzi, garantendo comunque sempre il rispetto di standard minimi.
Infine, alla luce della crisi dei consumi nei mercati interni all’Unione europea, occorre continuare a guardare a mercati più lontani, non appena la crisi generata dal Covid-19 lo permetterà, abbattendo progressivamente e con uno sforzo collettivo le barriere commerciali ancora esistenti.
Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 34/2020
Calano i consumi e il prezzo del susino
di A. Palmieri
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