Covid e agroalimentare, due possibili criticità per il made in Italy

L’Opinione di Alessandro Olper

Alessandro Olper

Interrogarsi sui possibili impatti del Covid-19 sul sistema agroalimentare italiano è un esercizio utile e complesso, soprattutto alla luce dei dati più recenti che sembrerebbero prospettare una nuova ondata di contagi.
La crisi non ha precedenti in quanto a grado di globalizzazione; mai era accaduto che un’emergenza sanitaria colpisse in sequenza e spesso duramente tutti i Paesi del globo, risultando peraltro più incisiva proprio là dove i sistemi sanitari nazionali dovrebbero essere più preparati.

 

EFFETTI ECONOMICI MOLTO PESANTI

La profondità della crisi economica determinata dal Covid-19 è estremamente rilevante. Basti pensare che la crisi finanziaria del 2008-2009 ha generato una riduzione media del pil delle economie più colpite (Stati Uniti ed Europa) dell’ordine del 4-5% nel 2009. Oggi le principali stime suggeriscono una riduzione del pil almeno doppia, con i Paesi UE più colpiti che potrebbero anche arrivare al 12-14% nel 2020.

Nei mesi più duri di marzo e aprile, nonostante le difficoltà oggettive determinate dal distanziamento sociale e dalla chiusura del canale horeca (bar, ristorazione e strutture alberghiere), la produzione e i consumi alimentari hanno retto abbastanza bene; chiaramente non senza shock strutturali dovuti al cambio forzato delle abitudini alimentari. Dal punto di vista degli scambi commerciali, i beni agricoli e alimentari sono quelli che hanno subìto di meno gli effetti negativi della chiusura delle frontiere e i blocchi alla libera circolazione delle persone.

L’imposizione del distanziamento sociale, il blocco della frontiere e della libera circolazione delle persone stanno però creando problemi sul fronte della produzione agricola e alimentare. In particolare, ciò si riflette in un aumento dei costi medi di produzione, nelle difficoltà di reperire manodopera stagionale e, in generale, in problemi logistici sia di carattere interno sia internazionale. La situazione apparentemente rassicurante dell’agroalimentare italiano, vista la gravità della pandemia, non deve tuttavia trarre in inganno.

Due sono gli elementi di maggior criticità che potrebbero prospettarsi. Il primo è strettamente legato alla struttura e continuità delle catene alimentari. Il Covid-19 ha messo in evidenza come un sistema produttivo organizzato su scala planetaria con filiere di produzione «lunghe» e/o poco diversificate, di fatto è meno resiliente di fronte a shock di questo tipo, che tendono ad aumentare tempi e costi della logistica internazionale.

Molti osservatori spingerebbero verso un accorciamento delle catene alimentari al fine di averne un maggior controllo e a una diversificazione degli approvvigionamenti di materia prima. Questi sono due elementi di riflessione cruciali per l’agri-food italiano, data la sua inevitabile dipendenza dai mercati internazionali. In generale, non sono convinto che rivolgersi maggiormente al mercato interno, come suggerito da alcuni, sia una scelta vincente, anche se una riflessione sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento è utile e necessaria.

Il secondo possibile problema è legato alla particolare natura delle produzioni alimentari italiane. Noi siamo i più bravi a produrre beni alimentari di alta e altissima qualità che, come tali, sono tra i più apprezzati dai consumatori internazionali, ma anche tra i più cari esistenti sui mercati. Il crollo del pil che si prospetta, concentrato soprattutto nei Paesi più ricchi, tradizionali aree di destinazione delle nostre esportazioni, solleva incertezze di medio e lungo periodo, in quanto rischia di rallentare la dinamica delle nostre esportazioni.

I dati positivi dei primi tre mesi dell’anno relativi alle esportazioni alimentari lasciano ben sperare. Tuttavia, molto dipenderà anche dagli interventi che i Governi saranno in grado di mettere in atto nei prossimi mesi per contrastare efficacemente gli effetti della crisi.

Alessandro Olper

Università di Milano