Prosecco Balbi è l’epiteto, tutt’oggi in uso in ambito accademico, per identificare una specifica tipologia di uva Glera, individuata intorno al 1870 dal conte Marco Giulio Balbi Valier sulle colline di Solighetto, con la finalità di isolare le uve di migliore qualità, aromatiche, formate da grappoli spargoli con acini grandi e piccoli allo stesso tempo. Il vino Prosecco, apprezzato in tutto il mondo per le note aromatiche e per il sentore leggermente frizzante al palato, è il risultato di un lungo percorso di perfezionamento continuo, sia a livello di allevamento della vite sia sul fronte della lavorazione delle uve. Innumerevoli sperimentazioni e ricerche hanno accompagnato circa 250 anni di storia di un vitigno che oggi off re al mercato mondiale e al sistema vitivinicolo, rispettivamente, la massima qualità e la migliore resa, compatibile con l’ambiente produttivo.
Un’alberata a “tutori vivi”
La forma di allevamento originaria del Prosecco non prevedeva alcuna architettura a pali secchi e ferro, ma una struttura completamente integrata con le forme del territorio che al tempo lo ospitava. Una semplice fascia alberata (principalmente realizzata con aceri, gelsi, olmi) fungeva da supporto alla pianta della vite Glera, della quale abbiamo traccia in Veneto a partire dal XVIII secolo. Nel 1772, con una nota dell’Accademia di agricoltura di Conegliano, Francesco Maria Malvolti magnificó la qualità delle uve Glera e nel secolo a seguire (nel 1868) Antonio Carpenè e l’Abate Felice Benedetti diedero inizio (attraverso la fondazione della Società enologica trevigiana di Conegliano), a quello che sarebbe stato un lungo percorso di perfezionamento del vino più esportato d’Italia. Un tragitto durato secoli, fatto di impegno e dedizione da parte di alcuni pionieri e di tanti discepoli che si sono intensamente prodigati per affinare al meglio un vino che rappresenta perfettamente il terroir del Nord-Est, territorio descritto come un crocevia di correnti alpine e adriatiche, con buone disponibilità idriche e clima mite. Nel periodo intercorso tra l’inizio del ‘900 e la Seconda guerra mondiale, si completarono le sostituzioni delle «alberate» a favore di una forma di allevamento specializzata «a spalliera», poggiata su palo secco e oggi riconosciuta come forma maggiormente idonea per ottimizzare gli spazi e il benessere del vigneto di Glera. Contemporaneamente, la diffusione del sistema «a Bellussera» era iniziata a proliferare soprattutto in pianura, non solo per i vitigni Raboso e Tocai (rispetto ai quali oggi rimane un punto di riferimento), ma anche per la coltivazione del Glera. Quest’ultimo, però, aveva esigenze e potenzialità di sviluppo vegetativo diverse, ragion per cui gli agronomi della prima metà del 1900 hanno spesso optato per il fi lare con potatura a Sylvoz, particolarmente adatto al vitigno. In collina, dove i terreni sono meno fertili, si è sviluppata la forma di allevamento alla Cappuccina (detta anche doppio capovolto) con soli due tralci fruttiferi per vite. Quest’ultima, concepita come una variante rispetto al sistema «Guyot doppio », presenta infatti una maggior lunghezza e curvatura dei due capi a frutto e si presta particolarmente bene ad assecondare la vigoria della Glera. Oggi rimangono quasi unicamente queste due forme (Sylvoz in pianura e Cappuccina in collina) affiancate in minor percentuale da vigneti potati a Guyot o a cordone libero, questi ultimi per facilitare una gestione meccanizzata.
L’introduzione del metodo Martinotti
E se le tecniche di allevamento del vitigno Glera hanno seguito un lungo iter di perfezionamento, anche le innovazioni nella vinificazione sono state al passo con questa evoluzione. La svolta decisiva al sistema di vinificazione del Prosecco fu segnata dall’enologo Federico Martinotti che nel 1895 (ad Asti) inventò un processo alternativo a quello in uso. La trasformazione degli zuccheri in alcol e anidride carbonica fu sperimentata in ampi contenitori di acciaio inox (autoclave), che rifermentavano il vino a pressione e temperatura controllate. Una scoperta enologica che, prima di essere brevettata nel 1910 in Francia con il nome di «metodo Charmat» (successivamente modificato in «Charmat-Martinotti»), è stata inventata e affinata sui vini italiani, tra i quali il Prosecco. Originariamente il Prosecco era però spumantizzato mediante il metodo «Sur Lie» in francese, ovvero vin «col fondo». Tradotto significa «sullo sporco» (con riferimento ai lieviti che si depositano in bottiglia) e rappresenta sicuramente il metodo più antico per produrre Prosecco spumante. Prima dell’introduzione delle autoclavi, usate per il metodo Charmat-Martinotti, il metodo Sur Lie prevedeva la rifermentazione del vino all’interno della bottiglia senza però praticare il degorgement, ovvero la tecnica che si usa nel metodo classico per rimuovere i lieviti depositati e ottenere così un vino chiaro. Veniva poi degustato decantando il vino in una caraffa o shekerando la bottiglia, mescolando così i sedimenti. Come diceva Mario Rigoni Stern «i ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia». Chissà se questo aforisma è stato ispirato proprio dal Prosecco Sur Lie. A ogni modo, oggi il Prosecco off re al mondo intero il meglio rispetto al proprio potenziale, grazie al perfezionamento e all’affinamento del percorso che dal vigneto porta alla bottiglia.
Ilenia Cescon