È ancora presto per fare stime puntuali, ma le prime indicazioni sulla raccolta del frumento duro indicano un’importante riduzione delle rese e anche delle principali caratteristiche qualitative, queste ultime causate dalle gelate di fine aprile». Inizia così il nostro colloquio con Giorgio Mercuri, presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari, il quale non nasconde le sue preoccupazioni per un bilancio di fine campagna che potrebbe essere annoverato tra i peggiori degli ultimi anni.
I cambiamenti climatici sono ormai una realtà, presidente Mercuri: come è possibile mitigarne gli effetti e rafforzare la filiera del frumento duro?
La ricerca e la tecnica devono accompagnarci, ma non vi è dubbio che molto può e deve ancora essere fatto per organizzare e valorizzare al meglio l’offerta.
Abbiamo due fatti nuovi, a cominciare dall’attenzione crescente per tutte le produzioni italiane, tra le quali il frumento duro e la pasta rivestono un ruolo di primo piano; nel contempo il rischio climatico può inficiare, senza alcuna responsabilità degli agricoltori, il corretto e proficuo svolgimento di relazioni commerciali tra parte agricola e industriale.
Da qui il nostro progetto, come mondo unitario della cooperazione, di un programma di polizze parametriche, d’intesa con importanti gruppi di trasformazione, che possa consentire, in annate particolari, di assicurare comunque il ritiro del prodotto e quindi il reddito agli agricoltori, anche senza le premialità previste dai contratti di filiera, ma comunque mettendo al sicuro il raccolto.
Per i contratti di filiera è indispensabile questo paracadute?
Siamo costantemente impegnati per diffondere questo strumento a nostro avviso ineludibile per consolidare un nuovo e duraturo sistema di regole e relazioni; non vi è dubbio che sia sul versante agricolo sia su quello industriale vi sono e vi potranno essere soggetti tendenti a fare i furbi, ma per fare qualità e reddito, binomio inscindibile, occorre partire da una seria programmazione delle coltivazioni, perché il frumento duro resta ancora una delle poche colture in balìa della libera iniziativa.
Peraltro è una commodity largamente disponibile sul mercato mondiale e come tale soggetta a continue e repentine oscillazioni di quotazione per motivi diversi, sicché la tutela del prezzo può derivare solo da una convinta adesione ai contratti di filiera, attraverso i quali perseguire con determinazione gli approvvigionamenti nazionali e il miglioramento ulteriore della qualità.
Diversamente non vi sarà futuro, in modo particolare, poi, per coloro i quali non intendono impegnarsi nella coltivazione, come ad esempio i non agricoltori e tutte quelle figure che a vario titolo conducono terreni e per i quali l‘attenzione per le buone pratiche spesso è secondaria.
C’è poi la questione degli stoccaggi. Qual è la situazione?
Nel complesso gli stoccaggi in Italia sono insufficienti, ma in gran parte anche tecnologicamente inadeguati. Questo perché in alcune importanti realtà produttive la precedente programmazione comunitaria per gli investimenti incentivati in campo agricolo ha precluso la possibilità di realizzare strutture di stoccaggio, nel presupposto, infondato, che ve ne fossero a sufficienza.
La gran parte delle strutture di stoccaggio presenti nelle più importanti aree cerealicole, inoltre, risale agli anni 80-90: si tratta per lo più di strutture obsolete o che andrebbero quanto meno ammodernate e poste in linea con i nuovi modelli organizzativi, come ad esempio è avvenuto in Spagna, dove sono stati realizzati silos di stoccaggio mediamente più piccoli dei nostri, ma tecnologicamente innovati e più diffusi sul territorio.
Così facendo si favorirebbe la diversificazione delle partite di materia prima in base ai parametri qualitativi e quindi la drastica riduzione dell’offerta di prodotto indifferenziato, che costituisce causa e talvolta alibi nel mancato riconoscimento di un prezzo adeguato da parte dell’industria molitoria.
La situazione da qualche tempo sta cambiando, seppur lentamente, e questa inversione di tendenza nell’organizzazione degli stoccaggi sta facendo emergere una qualità che c’era anche prima, ma spesso era confusa, non visibile e quindi non valorizzabile.
In particolare in Puglia, anche alla luce delle opportunità offerte dall’attuale programmazione comunitaria, stiamo realizzando un progetto corposo in termini di investimento, che prevede la realizzazione di centri stoccaggi tecnologicamente al passo con i tempi, il che significa, ad esempio, l’uso della refrigerazione dei cereali in luogo dei non più attuali trattamenti chimici per la conservazione della granella, con l’obbiettivo di portare sul mercato produzioni a residui zero.
Basterà tutto questo?
Ci sono altre due cose da fare. La prima è quella comunque di aumentare la capacità complessiva degli stoccaggi, poiché oggi siamo ancora a non più del 60% del potenziale produttivo; poi occorre vendere settimanalmente ed essere costantemente sul mercato, altrimenti lo stoccaggio tout court può avere a consuntivo benefici economici di gran lunga inferiori alle attese e non equamente distribuiti.
La tracciabilità resta un tema attuale?
Anche qui stiamo andando oltre. Fino a oggi la tracciabilità è stata legata all’origine del prodotto; come mondo della cooperazione stiamo lavorando a una blockchain che certifichi non solo l’origine, ma anche la sostenibilità e l’eticità delle produzioni, con l’applicazione di disciplinari e protocolli che riguardano il metodo di coltivazione, dalla semina alla raccolta, ma anche la stessa struttura e organizzazione aziendale.
Articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 23/2020
Al frumento duro servono più filiera e migliori stoccaggi
di G. Tamburrano